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RICKY TOGNAZZI

Ricky Tognazzi
Ricky Tognazzi

RICKY TOGNAZZILA VOGLIA MATTA DI VIVERE”

Attore e regista cinematografico. Figlio dell’attore Ugo Tognazzi e di Pat O’Hara, frequenta fin da piccolo i set cinematografici. Classe 1955, nato a Milano, trascorre gli anni della sua adolescenza in Inghilterra, poi ritorna in Italia e si diploma all’Istituto di Stato per la cinematografia. Inizia a lavorare come aiuto regista per Luigi Comencini, Pupi Avati e Maurizio Ponzi. Dedica la prima metà degli anni ‘80 all’attività di attore, collezionando grandi e piccoli ruoli. Il suo esordio come regista risale al 1987, quando dirige “Fernanda”, episodio di “Piazza Navona”, film tv ideato da Ettore Scola. Da quel momento, inizia un’attività piuttosto prolifica come regista, passando con disinvoltura dietro la macchina da presa e davanti. Nel 1994 Ricky recita in “Maniaci sentimentali”, di Simona Izzo, che sposerà nel ‘95: da allora, nel corso delle rispettive carriere, hanno sempre lavorato l’uno al fianco dell’altra. Ha firmato la regia del docufilm ‘La voglia matta di vivere’ dedicato a papà Ugo, che quest’anno avrebbe compiuto cento anni.

Ugo Tognazzi con il piccolo Ricky
Ugo Tognazzi con il piccolo Ricky

Cominciamo con la tua più recente fatica registica dedicata al grande Ugo Tognazzi, a 100 anni dalla nascita.

Sì, quest’anno è uscito il libro “La vita, gli amori e gli scherzi di un papà di salvataggio” che ho fatto insieme ai miei fratelli, e io ho realizzato un documentario “La voglia matta di vivere” che richiama un titolo di Luciano Salce. Ho fatto questo documentario, con la collaborazione di Gianmarco, di Maria Sole e di Thomas, che è un ritratto molto intimo: l’affettuoso ritratto di un uomo che non ha mai tentato di camuffare le sue debolezze. Sto portando il ricordo e la memoria di papà in giro per i piccoli e grandi festival in tutt’Italia. Anche se è ben vero che gli artisti non muoiono mai perché continuano a vivere nelle loro opere, è anche vero che col passare degli anni e il ricambio generazionale l’attenzione anche mediatica tende inevitabilmente a scemare, e quindi va rinnovata.

Respiri Cinema sin da ragazzino.

Da ragazzino vivevo con mia madre a Milano prima di andare a studiare in Inghilterra. In un’epoca in cui io ero l’unico con i genitori separati, in classe ero visto come una mosca bianca. Fatto sta che d’estate andavo da mio papà e quindi passavo gran parte delle mie vacanze a seguirlo sui set dove giravano, spesso in posti meravigliosi. Ho vissuto l’infanzia e la mia adolescenza vivendo dentro questo spettacolare mondo del Cinema, da dentro. Per un bambino tutto era affascinante, la macchina da presa era una bestia grande così, poi c’erano i bruti, così si chiamavano i carrelli, e tutto era straordinariamente felliniano. Era un ambiente dove il Cinema si respirava. Noi abbiamo avuto il Grande Cinema italiano e io ho avuto la fortuna di viverlo, di condividere la mia vita non solo con papà ma anche con quelli della sua generazione.

Avresti voluto fare qualcos’altro oltre al Cinema?

Nemmeno potevo immaginare di fare qualcos’altro, dopo quelle estati meravigliose. Mio padre non mi ha incoraggiato a fare l’attore come professione anche se mi ha sempre coinvolto ad andare sul set a fare “suo figlio”. A tutti noi diceva «Non dovete fare gli attori» «Io ho avuto successo, ma uno su mille ce la fa». Di tutti e quattro solo Gianmarco ha fatto l’attore. Io sono stato il primo a fare una bella carriera; poi in ogni carriera ci sono alti e bassi. Comunque, ce l’abbiamo fatta tutti.

Un insegnamento importante di papà Ugo.

Non so se l’ho imparato, ma quello che trasmetteva lui era il grande entusiasmo, la grande passione che metteva in ciò che faceva. E lui faceva tutto con un grande spirito, con una voglia matta di farle, con entusiasmo oppure con l’incazzatura, perché quando si arrabbiava era terribile. E, se non gli piaceva una cosa, combatteva fino a che la si facesse come diceva lui.

È noto che gli piacesse cucinare e che tenesse molto ai giudizi degli ospiti.

Papà era un appassionato, gli piaceva cucinare e ha scritto 6 libri di cucina. Però come carattere era uno sperimentatore, come nei film. Quindi, se aveva ospiti a tavola e magari era tornato da un viaggio con dell’ippopotamo, della balena o altre cose insolite, amava sperimentare a costo e a rischio di fare magari “una grandissima cagata”, come diceva il buon Villaggio. Al giudizio però teneva tantissimo. Erano note le sue “ultime cene”. La cena si doveva chiudere con una votazione segreta: distribuiva dei foglietti e chiedeva un giudizio. Queste le possibilità per ogni piatto: straordinario, ottimo, buono, sufficiente, cagata, grandissima cagata. Una volta su una pasta e fagioli uscì “grandissima cagata” e Ugo si offese da morire. Naturalmente quasi sempre si scherzava, però sulla cucina l’umorismo non gli veniva tanto bene.

Però era un papà divertente. Raccontaci qualche aneddoto, dai ricordi d’infanzia.

Io sono cresciuto fino all’età di 12 anni convinto che mio papà facesse le uova. Non era esattamente uno scherzo, si trattava un numero che mi faceva spesso, mentre eravamo seduti a tavola a pranzo, al ristorante o a casa. Così cominciava a fare “co co co”, il verso della gallina. Avevo 5, 6, 7 anni e lo guardavo meravigliato, poi papà si alzava dicendo “È venuto bene, tieni!” e mi regalava l’uovo. E io rimanevo basito ogni volta. Vai a spiegare ai compagni di scuola che mio padre faceva le uova… ho fatto la figura del deficiente per anni!

Parliamo del Richy attore.

Fare l’attore è un lavoro serio, molto difficile, un lavoro che impegna. È il tuo strumento di lavoro, è il tuo fisico, è la tua voce, è la tua psiche che devi mettere in scena. Ho fatto un film sul mestiere dell’attore che si chiamava “Piccoli equivoci”, con Castellitto. Ed era non a caso una storia di nevrosi, perché Sergio diceva che “un verduraio quando chiude il negozio la domenica rimane sempre un verduraio, mentre un attore che non lavora, un attore che non ha il suo personaggio, è un uomo a metà”. Io però lo faccio con uno spirito molto giocoso e quando faccio l’attore mi diverto.

Cosa ci dici di Richy regista?

Dico che il mestiere del regista ti regala tante soddisfazioni ma dopo tanta fatica. Perché è un mestiere realmente molto faticoso: ore e ore di lavoro, di incertezze, di dubbi… Poi non vai mai sul set tranquillo. Io non ho mai dormito la notte prima di andare sul set e ancora oggi, anche se devo fare un carosello o uno spot, la notte precedente non dormo o mi addormento alle 5 o alle 6 del mattino. Poi mia moglie di solito è la sceneggiatrice dei miei film: litighi con lei fino a mezzanotte, all’una, alle due.

Una moglie come regista c’è complicità tra voi?

Certo! Noi lavoriamo e abbiamo fatto quasi tutto insieme. Lei è come una specie di pappagallo su un trespolo mentre sto girando. Mi suggerisce e mi dice anche perché magari ha scritto lei stessa quella scena, per cui si aspetta cose che io non vedo. Capita talvolta di mettere in scena una visione molto parziale delle cose, che non corrisponde necessariamente con quella dello sceneggiatore, tantomeno di un altro regista che poi putacaso è pure tua moglie. Per cui c’è la sua idea, c’è la mia idea, la discussione, il dibattito… e poi si fa una cosa che spesso è l’una o l’altra e a volte una via di mezzo.

Un sogno nel cassetto?

I sogni sono brevi quelli del cinema … il sogno è sempre riuscire a fare un altro film dopo. Il successo è questo, poi alla fine, il successo è riuscire a continuare a lavorare e ad ottenere la libertà di fare quello che ti piace veramente piuttosto che quello che ti viene chiesto di fare. Per cui il sogno è continuare a lavorare più liberamente possibile.

Grazie Ricky

Sono io che ringrazio voi e saluto per il suo centesimo compleanno il grande papà, Ugo. Tanti auguri papà!

Ricky Tognazzi e Dario Bordet
Ricky Tognazzi e Dario Bordet
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